Le aliquote IVA agevolate del 4 e del 10% hanno la finalità di tenere bassi i prezzi di alcuni generi considerati molto importanti o di prima necessità. L’aliquota IVA del 4% si applica ai cibi come pane, pasta, olio, latte e riso, oltre a oggetti di uso comune. Al 10% invece sono tassati beni e servizi come la fornitura dell’elettricità, la carne e il pesce e i combustibili legnosi. Tutti tranne uno, il pellet.
Infatti, dal 1 gennaio 2015, come previsto dal comma 711 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2015, il Governo Italiano ha disposto l’aumento dal 10 al 22% dell’aliquota IVA da applicare alle cessioni del prodotto pellet di legno, destinando (comma 712) le maggiori entrate, per un importo pari a 96 milioni di euro, a incrementare il Fondo per gli interventi strutturali di politica economica.
Pertanto, l’aumento dell’IVA sul pellet è stato introdotto per generare un aumento delle entrate che in realtà è del tutto teorico. Con questa scelta, l’Italia diventa uno dei Paesi europei che applicano l’aliquota più elevata per questo biocombustibile. Non sarebbe una sorpresa costatare che, specie in un momento così delicato dal punto di vista economico, l’aumento dell’IVA abbia un effetto depressivo sui consumi, disincentivando l’utilizzo di un biocombustibile che in molte zone d’Italia rappresenta l’unica alternativa alle più costose fonti energetiche fossili.
L’Italia, infatti, è il primo Paese europeo per consumo domestico di pellet di legno, con oltre 3 milioni di tonnellate potenzialmente impiegabili. Sono infatti oltre due milioni le famiglie che usano questo biocombustibile per riscaldarsi. La metà di loro – circa il 4% del totale delle famiglie italiane – lo impiega come fonte di riscaldamento unica o prevalente.
L’aumento dell’IVA sul pellet si traduce in un aumento medio della spesa per il riscaldamento pari a 50 euro a famiglia; incremento che può superare i 150-200 euro nel caso in cui il pellet sia impiegato in caldaie per il riscaldamento centralizzato. Questi dati sono stati calcolati sulla base dei consumi medi dichiarati dalla famiglie italiane, pari a 1,5 t/anno.
Infine non è trascurabile evidenziare come gli effetti negativi si possano avere non solo per i consumatori finali ma anche per l’industria, sia sul fronte della produzione e della distribuzione del pellet sia su quello di produzione dei sistemi di riscaldamento. Infatti, è doveroso ricordare che i produttori italiani di apparecchi domestici alimentati a pellet contribuiscono al prestigio del Made in Italy e sono oggi leader a scala internazionale, esportando oltre il 35% in tutto il mondo e rappresentando più del 90% delle vendite in Europa. Le pesanti e negative ripercussioni che subirebbe questo settore manifatturiero, leader per tecnologia e ricerca e sviluppo, sarebbe un grave danno. Il settore del pellet è particolarmente significativo per l’industria italiana, con oltre 42.000 unità lavorative impiegate stabilmente, di cui oltre 20.000 direttamente nella produzione e distribuzione del biocombustibile. La sola produzione di pellet ha una ricaduta occupazionale pari a 8,3 unità lavorative per milione di euro fatturato, contro 0,5 per i derivati dalla raffinazione del petrolio. Inoltre, l’incidenza del valore aggiunto della produzione di pellet è 7 volte superiore rispetto a quello derivante della raffinazione del petrolio.
Nel complesso l’aumento dell’IVA sul pellet dimostra una sensibile inadeguatezza nella politica a sostegno delle fonti rinnovabili,producendo un pericoloso allontanarsi dal raggiungimento degli obiettivi europei previsti al 2020, penalizzando le sinergie nell’ambito della filiera foresta-legno-energia e le ricadute positive in ambito ambientale, di gestione del territorio e di supporto alle comunità locali.
Con questa petizione chiediamo, pertanto, l’abrogazione del comma 711 e congiuntamente del comma 712 che incrementa il Fondo per gli interventi strutturali di politica economica attraverso il gettito derivante dall’innalzamento dell’aliquota IVA sul pellet.
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